Marco Travaglio-Il Fatto Q.-07/05/13

Mafia, era colpevole ma tutti in coro gridarono: “A ss o l to”-Marco Travaglio-Il Fatto Q.-07/05/13

L o Stato non può processare se stesso”, diceva Leo –
nardo Sciascia. Senza prevedere che, in una breve
e luminosa stagione, quella dei primi anni 90 del
XX secolo, lo Stato avrebbe processato se stesso
grazie a un pugno di magistrati coraggiosi, rac-
colti in poche Procure e Tribunali. Fra questi,
quelli di Milano e di Palermo. Giulio Andreotti passerà alla storia
come l’unico presidente del Consiglio (lo fu per ben sette volte)
processato per mafia. Ma come sia finito il suo processo a Palermo,
che per questo motivo è il più importante della storia non solo
d’Italia, ma del mondo, lo sanno in pochi, e in pochissimi lo sa-
pranno nelle generazioni future. Perché quel processo è stato il
banco di prova di una delle più colossali manipolazioni mai viste
nella storia dell’informazione.
Le prime rivelazioni sui rapporti di Andreotti con la
mafia le raccolgono i pm di Palermo dalla bocca del
pentito Leonardo Messina subito dopo l’omicidio del
suo luogotenente siciliano, Salvo Lima, nella prima-
vera del 1993. Poi, dopo gli omicidi di Falcone e Bor-
sellino uccisi con gli uomini delle scorte, si decidono
a parlare altri collaboratori di giustizia: Gaspare Mu-
to l o ,Francesco Marino Mannoia eTommaso Buscetta
(che già aveva fatto il nome di Andreotti nel 1983
dinanzi ai giudici americani che lo interrogavano sul
caso Pizza Connection, ma si era rifiutato di ripeterlo
dinanzi a Giovanni Falcone perché “dottore, se parlo
di politica ci mettono in manicomio tutti e due”).
Seguiti a ruota da un’altra trentina (più vari testimo-
ni, supportati da numerosi riscontri documentali)
negli anni successivi.
DOPO LE STRAGI DEL ’93
Nel gennaio del ’93 Gian Carlo Caselli arriva a Pa-
lermo devastata dalle stragi come nuovo procuratore capo e tira le
somme del lavoro svolto dai colleghi. Ce n’è abbastanza per chie-
dere al Senato l’autorizzazione a procedere contro Andreotti per
416-bis: “partecipazione all’associazione per delinquere di stampo
mafioso denominata Cosa Nostra”. Il Senato, favorevole lo stesso
illustre indagato, la concede. E nel 1994, dopo il rinvio a giudizio,
inizia il processo del secolo. Dura cinque anni. Nel 1999 l’imputato
Giulio Andreotti, che ha presenziato a quasi tutte le udienze, ri-
spettando almeno formalmente il potere giudiziario, viene assolto
dal Tribunale di Palermo in base all’articolo 530 comma 2: la vec-
chia insufficienza di prove, come dimostrano le 5mila pagine di
motivazioni. I giudici ritengono provate numerosissime accuse
portate in aula dai pm Caselli, Lo Forte, N a to l i e S c a r p i n a to , ma non
le considerano sufficienti per integrare il reato contestato. An-
dreotti – concludono – era in contatto diretto con vari mafiosi;
incontrò il giovane boss Andrea Manciaracina a quattr’occhi in una
saletta d’albergo; visitò Michele Sindona mentre quest’ultimo era
latitante; aveva intensi rapporti con Licio Gelli; è addirittura “pos –
sibile” il suo incontro del 1980 con il boss Stefano Bontate narrato
da Mannoia; è un mentitore professionale, avendo raccontato al-
meno 21 bugie su aspetti decisivi delle accuse. In particolare: sei
menzogne sull’affettuosa amicizia (sempre sdegnosamente negata)
con i cugini A n to n i o e Ignazio Salvo; due sul generale Dalla Chiesa
(le stesse testimoniate sotto giuramento al maxiprocesso istruito da
Falcone e Borsellino negli Anni 80); una sull’andreottiano mafioso
B ev i l a cq u a ; due su Ci a n c i m i n o ; dieci su Sindona; due sull’incontro
con Manciaracina. Ma le prove contro di lui, alla fine, vengono
ritenute contraddittorie o insufficienti per condannarlo.
Poi però, il 2 maggio 2003, la I sezione della Corte d’appello ribalta
la sentenza di primo grado, accogliendo in parte il ricorso della
Procura e “dichiara non doversi procedere nei confronti dello stes-
so Andreotti in ordine al reato di associazione per delinquere a lui
ascritto al capo A della rubrica, commesso fino alla primavera del
1980, per essere lo stesso reato estinto per prescrizione”. Per il pe-
riodo seguente invece è confermata l’assoluzione con formula du-
bitativa. Dunque Andreotti ha “commesso” il reato di associazione
per delinquere con Cosa nostra sino alla primavera del 1980, ma il
reato è coperto da prescrizione, appena scattata nel dicembre 2002
(22 anni e mezzo dopo i fatti – primavera del 1980 – e pochi mesi
prima della sentenza). E solo perché, essendo incensurato, An-
dreotti ottiene le attenuanti generiche. E solo perché nel 1980 non
esisteva ancora il reato di associazione per delinquere di stampo
mafioso, introdotto nel 1982: per l’associazione “semplice” le pene
sono più basse e i termini di prescrizione più brevi. La data della
primavera 1980 è quella dell’incontro a Palermo (pienamente ac-
certato) fra Andreotti e il boss Stefano Bontate, all’indomani del
delitto Mattarella. Ma i giudici ritengono provati anche altri vertici
fra il senatore a vita e diversi boss di prima grandezza: lo stesso
Bontate (nella primavera-estate 1979 a Catania, dove il boss prean-
nunciò all’uomo politico l’intenzione di assassinare il presidente
della Regione, il dc Piersanti Mattarella), Tano Badalamenti (nel
1979 a Roma, per aggiustare il processo a carico di Vi n ce n zo e Fi –
lippo Rimi, parenti di don Tano), Andrea Manciaracina (nel 1985, a
Mazara del Vallo), mentre non ritengono sufficienti le prove sul
presunto incontro con Totò Riina nel 1987. Incontri diretti, dunque,
e non solo mediati dai luogotenenti andreottiani in Sicilia, i cugini
Nino e Ignazio Salvo (mafiosi doc che Andreotti
ha sempre negato di conoscere) e Salvo Lima.
Fino al 1980, dunque, l’uomo politico intrecciò
“un’autentica, stabile ed amichevole disponibi-
lità verso i mafiosi”. Che non costituisce “una
semplice manifestazione di un comportamento
solo moralmente scorretto e di una vicinanza
penalmente irrilevante”, ma “una vera e propria
partecipazione all’associazione mafiosa, ap-
prezzabilmente protrattasi nel tempo”.
I RAPPORTI DEL SENATORE
Negli Anni 70, fino almeno alla primavera 1980,
“la Corte ha ritenuto la sussistenza: – di ami-
chevoli ed anche dirette relazioni del sen. An-
dreotti con gli esponenti di spicco della c.d. ala
moderata di Cosa nostra, Stefano Bontate e
Gaetano Badalamenti, propiziate dal legame del
predetto con l’on. Salvo Lima, ma anche con i
cugini Antonino ed Ignazio Salvo, essi pure pe-
raltro organicamente inseriti in Cosa nostra; – di rapporti di scam-
bio che dette amichevoli relazioni hanno determinato: il generico
appoggio elettorale alla corrente andreottiana, peraltro non esclu-
sivo e non esattamente riconducibile a un’esplicitata negoziazione
e, comunque, non riferibile precisamente alla persona dell’impu –
tato; il solerte attivarsi dei mafiosi per soddisfare, ricorrendo ai loro
metodi, talora anche cruenti, possibili esigenze – di per sé, non
sempre di contenuto illecito – dell’imputato o di amici del me-
desimo; la palesata disponibilità e il manifestato buon apprezza-
mento del ruolo dei mafiosi da parte dell’imputato, frutto non solo
di un autentico interesse personale a mantenere buone relazioni
con essi, ma anche di un’effettiva sottovalutazione del fenomeno
mafioso (…); – della travagliata, ma non per questo meno sinto-
matica ai fini che qui interessano, interazione dell’imputato con i
mafiosi nella vicenda Mattarella, risoltasi, peraltro, nel drammatico
fallimento del disegno del predetto di mettere sotto il suo auto-
revole controllo l’azione dei suoi interlocutori ovvero, dopo la scel-
ta sanguinaria di costoro, di tentare di recuperarne il controllo,
promuovendo un definitivo, duro chiarimento, rimasto infruttuo-
so per l’atteggiamento arrogante assunto dal Bontate”.
LA SUA AMICIZIA CON I BOSS
Come si traducono questi comportamenti alla luce del Codice penale?
“Il sen. Andreotti ha avuto piena consapevolezza che suoi sodali si-
ciliani intrattenevano amichevoli rapporti con alcuni boss mafiosi; ha
quindi, a sua volta, coltivato amichevoli relazioni con gli stessi boss; ha
palesato agli stessi una disponibilità non meramente fittizia, ancorché
non necessariamente seguita da concreti, consistenti interventi age-
volativi; ha loro chiesto favori; li ha incontrati; ha interagito con essi; ha
loro indicato il comportamento da tenere in relazione alla delicatis-
sima questione Mattarella, sia pure senza riuscire, in definitiva, a ot-
tenere che le stesse indicazioni venissero seguite; ha indotto i medesimi
a fidarsi di lui e a parlargli anche di fatti gra-
vissimi (come l’assassinio del presidente Mat-
tarella) nella sicura consapevolezza di non cor-
rere il rischio di essere denunciati; ha omesso di
denunciare le loro responsabilità, in particolare
in relazione all’omicidio del presidente Matta-
rella, malgrado potesse, al riguardo, offrire uti-
lissimi elementi di conoscenza”. I giudici scol-
piscono così, in poche righe, la storia dei rapporti
fra Andreotti e Cosa nostra, smentendo preven-
tivamente (e profeticamente) chiunque tenti di
gabellare la loro sentenza per un’assoluzione o
per una prescrizione che non entra nel merito
dei fatti: “L’imputato ha, non senza personale
tornaconto, consapevolmente e deliberatamen-
te coltivato una stabile relazione con il sodalizio
criminale ed arrecato, comunque, allo stesso un
contributo rafforzativo manifestando la sua di-
sponibilità a favorire i mafiosi. In definitiva, la
Corte ritiene che sia ravvisabile il reato di par-
tecipazione all’associazione
per delinquere nella condotta
di un eminentissimo perso-
naggio politico nazionale, di
spiccatissima influenza nella
politica generale del Paese ed
estraneo all’ambiente sicilia-
no, il quale, nell’arco di un
congruo lasso di tempo, an-
che al di fuori di un’esplicitata
negoziazione di appoggi elet-
torali in cambio di propri in-
terventi in favore di un’orga –
nizzazione mafiosa di rilevan-
tissimo radicamento territo-
riale nell’Isola: a) chieda e ot-
tenga, per conto di suoi sodali,
a esponenti di spicco dell’as –
sociazione interventi parale-
ali, ancorché per finalità non riprovevoli; b) in-
contri ripetutamente esponenti di vertice della
stessa associazione; c) intrat-
tenga con gli stessi relazioni
amichevoli, rafforzandone la
influenza anche rispetto ad al-
tre componenti dello stesso
sodalizio tagliate fuori da tali
rapporti; d) appalesi autentico
interessamento in relazione a
vicende particolarmente deli-
cate per la vita del sodalizio
mafioso; e) indichi ai mafiosi, in relazione a tali
vicende, le strade da seguire e discuta con i me-
desimi anche di fatti criminali gravissimi da loro
perpetrati in connessione con le medesime vi-
cende, senza destare in essi la preoccupazione di
venire denunciati; f ) ometta di denunciare ele-
menti utili a far luce su fatti di particolarissima gravità, di cui sia venuto
a conoscenza in dipendenza di diretti contatti con i mafiosi; g) dia, in
buona sostanza, a detti esponenti mafiosi segni autentici – e non me-
ramente fittizi –di amichevole disponibilità, idonei, anche al di fuori […]
di specifici ed effettivi interventi agevolativi, a contribuire al raffor-
zamento dell’organizzazione criminale, inducendo negli affiliati, anche
per la sua autorevolezza politica, il sentimento di essere protetti al più
alto livello del potere legale”.
VIA ALLA DISINFORMAZIONE
E allora, fino al 1980, niente assoluzione, ma prescrizione del reato
“commesso”, e solo grazie alla concessione delle attenuanti generiche
prevalenti, che la accorciano: “Alla stregua dell’esposto convincimen-
to, si deve concludere che ricorrono le condizioni per ribaltare, sia pure
nei limiti del periodo in considerazione, il giudizio negativo espresso
dal Tribunale in ordine alla sussistenza del reato e che, conseguen-
temente, siano nel merito fondate le censure dei pm appellanti. Non
resta allora che confermare, anche sotto il profilo considerato, il già
precisato orientamento ed emettere, pertanto, la statuizione di non
luogo a procedere per essere il reato concretamente ravvisabile a carico
del sen. Andreotti estinto per prescrizione”.
Parole talmente pesanti da indurre gran parte della classe politica
(centrodestra, ma anche Margherita, Udeur, Sdi) e l’informazione al
seguito a orchestrare la campagna di disinformazione, anzi di ster-
minio della verità, per ribaltare il verdetto che suona come campagna
a morto per tutta la Casta. E spacciare Andreotti come “assolto”, cioè
perseguitato ingiustamente dalle toghe rosse palermitane. Dalla
commissione Antimafia al Parlamento, su su fino al premier Silvio
B e r l u s co n i , che in una celebre intervista al settimanale britannico Th e
S p e c ta to r , dichiara: “Andreotti non è mio amico. Lui è di sinistra [sic].
Ma hanno creato questa menzogna per dimostrare che la Dc non era
un partito etico, ma vicino alla criminalità. Non è vero. È una follia!
Questi giudici sono doppiamente matti! Se fanno quel lavoro è per-
ché sono antropologicamente diversi dal resto della razza umana”.
Intanto il caso Andreotti approda in Cassazione: la Procura generale
di Palermo ricorre contro l’assoluzione post-1980 e la difesa An-
dreotti contro la prescrizione pre-1980. Il senato-
re, almeno lui, la sentenza l’ha letta e capita, dun-
que chiede di essere assolto con formula piena, ben
sapendo che quella prescrizione è un’ombra in-
famante su gran parte della sua lunga carriera po-
litica. Ma il 15 ottobre 2004 la II sezione penale
della Cassazione conferma tale e quale la sentenza
d’appello e “condanna l’imputato al pagamento
delle spese processuali”. Insomma le macchie re-
stano. E diventano indelebili. Ma ancora una volta
la politica e la sottostante “informazione” si atti-
vano immantinente per spacciare la merce avaria-
ta dell’ “assoluzione definitiva”. Con annessa bea-
tificazione dell’imputato. Berlusconi, grande
esperto in prescrizioni, si dice “molto felice per
Andreotti”. Pera si rallegra per la “fine del calva-
rio”. Casini addirittura esulta per la “sentenza li-
beratoria per le istituzioni”, come se ci fosse qual-
cosa di liberatorio nell’apprendere che, fino al
1980, un sette volte presidente del Consiglio fu alleato di Cosa no-
stra. Il Vaticano esprime “grande soddisfazione”. Emanuele Maca-
luso pubblica sul Riformista un commento dal titolo “Andreotti as-
solto, il Teorema è finito. Ma ora cancelleranno anche l’infamia?”, in
cui parla di “Procura battuta”, di “vicenda politico-giudiziaria ini-
ziata male, molto male dalla Procura di Palermo e chiusa da un
verdetto che certamente assolve Andreotti dal reato di associazione
mafiosa” Romano Prodi parla di “bella notizia”. Giuseppe Fioroni (ex
Margherita ora Pd) si spinge oltre: “Andreotti esce a testa alta da
accuse infamanti contro le quali ha usato solo la forza della verità”.
Non male, per un imputato che già secondo il Tribunale aveva men-
tito 21 volte. Di fronte all’ennesima colata di menzogne, Caselli scri-
ve un articolo su La Stampa intitolato “Ma Andreotti è stato ma-
fioso”, per ricordare il contenuto della sentenza appena confermata.
Nessuno lo può smentire, sentenza alla mano. Anche perché la sen-
tenza non l’ha letta nessuno. Ma un coro unanime di politici di ogni
colore, a Camere unificate, con l’eccezione dei Ds e Di Pietro, lo
zittisce come un impiccione importuno. Il laico forzista del Csm
Giorgio Spangher propone di trasferirlo lontano da Torino per in-
compatibilità ambientale e raccomanda di escluderlo dalla prossima
corsa per la Procura nazionale Antimafia. Verrà accontentato per
legge (poi bocciata dalla Consulta). Il 28 dicembre 2004 arrivano le
motivazioni della Cassazione, eccezionalmente firmate da tutti e
cinque i membri del collegio. I quali definiscono “logica”, “razio –
nale”, “esaustiva”, “conseguente”, “ineccepibile”, “non censurabile”
la sentenza d’appello e ricordano che la prescrizione comporta l’ac –
certamento del reato commesso da Andreotti: “La sentenza impu-
gnata, al di là delle sue affermazioni teoriche, ha ravvisato la par-
tecipazione nel reato associativo non nei termini riduttivi di una
mera disponibilità, ma in quelli più ampi e giuridicamente signi-
ficativi di una concreta collaborazione”. Non sempre è vero che,
come diceva Sciascia, lo Stato non può processare se stesso. È vero
però che, le rare volte in cui processa se stesso, i cittadini non devono
saperlo.

Marco Travaglio-Il Fatto Q.-07/05/13ultima modifica: 2013-05-07T17:02:04+02:00da annaquerciaa1
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